Contro la guerra, contro lo Stato

Non è mai esistito un momento, nella storia recente, in cui non vi sia stata una guerra in atto. Eppure siamo abituatx a non pensarci, perchè il flusso incalzante di notizie che subiamo le lasciano dove sono, apparentemente lontante dalle nostre vite. Siria, Somalia, Yemen, Palestina, Pakistan, Mali, … Non ci toccano, non impattano nelle nostre vite, non ce ne accorgeremmo nemmeno se non fosse per le persone che da queste guerre fuggono e che invece di trovare qui quella pace di cui i governi europei si riempiono la bocca, trovano le polizie e di nuovo i militari di Frontex e dei singoli paesi verso cui si dirigono, nonché l’ostlità delle persone bianche che hanno abboccato alla guerra tra poverx fomentata da politici e giornalisti che associano in continuazione le parole “immigrazione” e “criminalità”.

Così, lo scorso 24 febbraio siamo quasi cadutx dal pero di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Putin. Ce ne siamo stupitx di fronte ai titoli di giornale che ne hanno annunciato l’inizio con toni sensazionalistici come se fosse una guerra inaspettata, quando in realtà il conflitto era già in corso da molto tempo lungo il bacino del fiume Donec. Una guerra che ci viene fatta sentire vicina perchè potrebbe portare come ripercussioni all’Europa non unicamente il “rischio migratorio”, tanto temuto dai governi, ma un nuovo scacco matto, dopo quello pandemico, al nostro benessere consumista. Un benessere che ci è garantito dal potere economico e strutturale degli Stati dell’Europa occidentale di accaparrarsi risorse energetiche saccheggiate in Stati non centrali. Al contempo, però, queste tensioni geopolitiche fra potenze e imperialismi ci rivelano non solo la nostra dipendenza ma anche la fragilità e l’insostenibilità del sistema energivoro capitalista. “Il re è nudo”. L’Europa tutta e l’Italia in particolare, infatti, dipendono dal gas russo che arriva nel nostro paese tramite una rete di gasdotti che attraversa i paesi dell’Est europeo, Ucraina compresa, giungendo a noi a Tarviso attraverso il gasdotto TAG, gestito dalla multinazionale italiana SNAM. Russia e Ucraina sono altresì importanti produttori di materie prime come grano, mais, olio di girasole e soprattutto metalli e minerali preziosissimi per alimentare le fameliche industrie che ci stanno vendendo la cosiddetta “transizione energetica” come presunta soluzione alla loro stessa devastazione della Terra. E non è un caso come dietro al PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), ci sia l’impronta importante, nel tratteggiarne le linee guida, proprio della principale industria bellica italiana, la Leonardo S.p.A, e come questa transizione energetica vada di pari passo non solo con una sempre maggiore digitalizzazione, e quindi un maggiore controllo sulle nostre vite nonchè una maggiore dipendenza dall’estrattivismo, ma anche con un rinnovo dell’essenza militarista dello Stato.

Quello che in queste settimane vediamo riproporsi è la mai cara, ma vecchia sì, guerra tra imperialismi, che da un decennio fomentano, determinano e si nutrono delle fratture interne della società ucraina. Negare l’espansionismo verso est della Nato, come giornalisti e politici stanno cercando di fare, è la stessa sabbia lanciata negli occhi da Putin che in Russia nega l’esistenza di una guerra in atto mistificandola e legittimando il proprio intervento militare con una presunta denazificazione dell’Ucraina.

“La guerra non è se non la continuazione della politica, con altri mezzi”

La guerra o la minaccia di essa, che sia interna o esterna, è l’essenza dello Stato. È il mezzo attraverso cui la politica si garantisce la pace sociale e il benessere consumista. Qualunque Stato, anche quello più liberale e democratico, è necessariamente fondato sul predominio, sulla dominazione, sulla violenza e quindi sul dispotismo. L’imperialismo non è una deviazione dello Stato, ma un suo elemento intrinseco, e su questa base poggia la sua naturale militarizzazione.

Non pensiamo che il punto sia schierarsi da una parte o dall’altra di chi è coinvolto nel conflitto, ovvero o con l’imperialismo russo o con quello occidentale, poichè entrambi perseguono politiche di potenza e di sopraffazione tanto all’interno quanto all’esterno dei propri confini. E per quanto tuttx si dicano con assoluta convinzione contro la guerra e per la pace, per noi queste non possono che rimanere parole al vento nel momento in cui questo non si tramuta in un essere contro l’esistenza dello Stato, di cui, appunto, la guerra ne è l’essenza per garantirsi un’idea ipocrita di pace, per la quale vengono perpetrati i peggiori massacri.
Questa guerra è l’ennesima tragica, sanguinaria spartizione imperialista, dove il patriottismo e il nazionalismo vengono sbandierati per nascondere l’accumulazione capitalista e l’affermazione di potenza di tutti gli Stati coinvolti.

Guerra e pace sono due facce della stessa medaglia, quella della continuità dello sfruttamento e del dominio dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e tutte le altre soggettività oppresse dal patriarcato, dell’uomo sugli animali e sulla terra. Quell’uomo suprematista di cui lo Stato è il vicario e per la cui autorità il massacro, il sangue e la violenza, la militarizzazione, la disciplina e l’obbedienza, restano centrali.

La guerra è costantemente presente e preparata, in quanto ha bisogno di armi che vanno fabbricate, di esercitazioni e di una pianificazione che vanno eseguite e di propaganda che va ripetuta, e la preparazione alla guerra è già, di fatto, guerra.

In quanto anarchicx auspichiamo in una società fondata sulla solidarietà e sì, sulla pace, ma del pacifismo come posizionamento cristiano borghese di chi non si trova nell’occhio del ciclone e condanna la violenza in senso assoluto, non distinguendo fra la violenza dell’oppressore e la violenza di chi resiste in quanto oppresso, non sappiamo davvero cosa farcene. Coloro che si proclamano pacifistx in questo senso non si rendono conto di sostenere un sistema intrinsecamente guerrafondaio. Dirsi pacifistx acriticamente, ovvero senza mettere in discussione la società in cui viviamo, fondata sulle diverse manifestazioni di dominio, oppressione e saccheggio, sono solo parole al vento.

Sono tempi in cui per lo Stato tutto può costituire una minaccia (alla SUA pace!) e tutto va bene per instillare la paura. Ieri era il terrorismo o la crisi finanziaria, domani la catastrofe ecologica e la penuria energetica. Tutto diventa intercambiabile e funzionale nella gestione poliziesca, digitalizzata e militarizzata della pace sociale, ovvero della guerra contro lx sfruttatx e lx esclusx.

La guerra in casa

Repressione, dominio e guerra non sono astrattismi, concetti privi di una loro concretezza o al massimo dislocati in luoghi più o meno remoti rispetto al cuore dell’occidente civilizzato. Al contrario, sono tangibilmente presenti qui, e li riscontriamo in tutte quelle strutture del potere, nelle fabbriche, nei porti, nel dispiegamento di personale coinvolto, in primis sbirri e militari ma anche tutti gli specialisti e i ricercatori provenienti dalle accademie e coinvolti nella macchina del controllo, della sorveglianza e della produzione bellica. Ne è un esempio fra i tanti il Politecnico di Torino che nell’auditorium del suo Energy Center ha ospitato il 10 marzo 2022 il convegno “Il futuro dell’aerospazio: opportunità di sviluppo per le PMI nella filiera”, con l’intervento di rappresentanti dell’ateneo nonchè delle maggiori industrie belliche del settore: Leonardo, Avio Aero, Thales Alenia Space, Mecaer. L’iniziativa, che anticipa la futura realizzazione della Città dell’Aerospazio, che sorgerà a Torino in un’area di proprietà di Leonardo, ci palesa l’evidente intreccio di interessi fra il mondo accademico e l’industria bellica, confermato dallo stesso sito Difesa.it che descrive la più ampia operazione in cui si inscrive questa iniziativa come “Sinergia per l’innovazione tra Industria Mondo Accademico e Difesa”. Tutto questo prende forma sulla base dell’agenda NATO 2030, che prevederebbe la realizzazione di una rete federata di centri di sperimentazione e acceleratori d’innovazione con il compito di supportare la NATO e i paesi alleati nel proprio processo di innovazione e avanzamento tecnologico, facilitando la cooperazione tra settore privato e realtà militari.

Guerra e militarizzazione sono dunque pensate, studiate, progettate e fisicamente prodotte qui in luoghi ben precisi e demandate da ancora più precisi responsabili che lucrano su di esse.
Entrando nello specifico, sappiamo tuttx che l’Italia in quanto membro della NATO è pesantemente coinvolta nel conflitto in Ucraina, oltre ad essere presente direttamente e concretamente in Europa orientale con proprie truppe, come in Lettonia dove sono dislocati carri armati e cingolati da neve nell’ambito della missione “Baltic Guardian”, in Romania nei pressi di Costanza con la presenza di quattro caccia Typhoon nell’ambito della missione “Air Black Storm”, nel Mar Nero in cui troviamo la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”, oltre alla portaerei “Cavour” con i suoi F-35.

Nell’attuale scenario bellico ci vengono particolarmente in mente i numerosi avamposti che costellano la Sicilia utilizzati per la ricerca e il controllo della flotta russa nel Mediterraneo e l’invio di droni da Sigonella all’Ucraina mentre ordini di guerra transitano dalla stazione Muos di Niscemi (acronimo di Mobile User Objective System, sistema di comunicazioni satellitari – SATCOM – militari ad alta frequenza e a banda stretta gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti). Ma non solo. Abbiamo assistito allo spiegamento di oltre 1300 militari, ed è stata già annunciata l’intenzione di inviarne ulteriori 2000 oltre a 77 mezzi terrestri, 2 navi, 5 caccia Eurofighter per rafforzare il fianco alla NATO.

Oltre a ciò, nel quadro strategico dell’imperialismo statunitense, possiamo constatare la presenza massiccia di basi militari USA e Nato in tutto il paese.
Ne abbiamo un esempio locale a Poggio Renatico dove si trova una delle più grandi stazioni radar dell’Aeronautica Militare Italiana, dove sono dunque attivi il Comando Operazioni Aeree dell’Aeronautica Militare e il radar Air Command and Control System che risponde al commando di difesa missilistico alleato e allerta le basi missilistiche in Romania e Polonia, sviluppato da Thales e Selex Sistemi Sntegrati (la prima co-proprietaria insieme a Leonardo-Finmeccanica di Telespazio, società operativa nello sviluppo e produzione di sistemi satellitari per la navigazione, le telecomunicazioni, la meteorologia, il controllo ambientale, la difesa, le missioni scientifiche e l’osservazione della Terra; la seconda, originariamente controllata da Finmeccanica e successivamente confluita in Selex ES a sua volta assorbita da Leonardo, progettava e sviluppava sistemi radar e sensori per applicazioni nei settori dell’elettronica per la difesa e sicurezza, per la sorveglianza marittima, portuale e costiera, nonché per la gestione e il controllo del traffico aereo e aeroportuale).

Già in passato la base radar di Poggio Renatico è stata utilizzata per numerose e importanti operazioni militari di cui ricordiamo solo alcuni esempi, come il monitoraggio del traffico aereo sulla ex-Jugoslavia e sui paesi meridionali del Patto di Varsavia, il controllo delle forze aeree nell’Europa meridionale e sullo spazio aereo tra il delta del Danubio e l’Oceano Atlantico nel 2010, il coordinamento degli attacchi aerei durante la guerra civile libica nel 2011, nonchè base per imponenti esercitazioni NATO come la Trident Juncture del 2015.

Oltre al Comando Operazioni Aeree dell’Aeronautica Militare, ha sede qui anche il Deployable Air Command and Control Centre (DACCC), la punta di diamante della capacità di comando e controllo aereo della NATO, fondamentale per la proiezione delle forze schierabili per tutte le operazioni aeree. Un sistema talmente eccellente da valere a febbraio del 2020 la visita del Military Commitee, il più rilevante organismo militare permanente della NATO composto dai Rappresentanti Militari delle ventinove nazioni appartenenti al Patto Atlantico.

E mentre le crescenti spese di difesa che fortificano l’apparato repressivo e militare sono giustificate in virtù della nostra “sicurezza”, in sordina è stato emanato dal governo un nuovo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022 (come se non bastasse quello “pandemico”) nell’ambito del cosiddetto “decreto Ucraina” che prevede principalmente l’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari sul fronte orientale della NATO fino a fine anno, il possibile razionamento del gas, il rafforzamento dell’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri per la tutela degli italiani all’estero e la Protezione civile che potrà intervenire anche in Ucraina in virtù dell’emergenza umanitaria, il potenziamento del sistema di accoglienza straordinario nazionale, ergo il sistema dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria per persone richiedenti asilo) sotto il controllo delle Prefetture, per le persone in fuga dall’Ucraina che si ritroveranno a fare i conti con la gestione capillare e poliziesca delle proprie vite nelle maglie della “accoglienza” dello Stato Italiano.

Trasformiamo la guerra dei padroni in guerra ai padroni

In questa nuova, ennesima, guerra il nostro campo non sarà né l’Ucraina né la Russia, né l’eventuale intervento NATO, alla ricerca di un presunto “male minore” tra i vari interventi militari di questa o quella potenza imperialista. Continuiamo a posizionarci contro padroni e Stato attaccando l’ingranaggio militarista e il riarmo internazionale, non perdendo di vista dove e come vengono fabbricati gli strumenti necessari alle guerre sia interne che esterne a noi.
Usciamo dalla logica binaria vittima-aggressore fra Stati. Solidarizziamo con chi in seno ad ogni guerra e da tutte le parti coinvolte in essa mette in campo forme di resistenza dal basso, che alza la voce e si organizza contro la guerra e il potere che non solo la produce ma ci lucra sopra. Anarchicx ma non solo, chiunque individualmente o unitx in brigate e gruppi informali resiste a dominio, oppressione, militarizzazione, non assimilandosi o collaborando con gli eserciti.
Il militarismo non si contrasta con un vuoto pacifismo che non riesce a distinguere la violenza dell’oppressore da quella di chi attacca per resistere, bensì smascherando e contrapponendosi all’apparato statale, accademico, industriale e militare presente sia nei luoghi della presunta pacificazione sociale che in quello del conflitto, e che rendono possibile tutto questo.