RIFLESSIONI SU DEMOCRAZIE E CARCERE DURO

Viviamo nel mito della democrazia quale incarnazione del bene assoluto. Il migliore dei mondi possibili, luogo in cui avviene solo del bene e quando, perché succede, avviene il male è colpa di qualcun altrx che non siamo noi, che siamo democratici e quindi nel giusto. Una bella favola questa, che ci viene narrata ogni giorno dai nostri politici, dai giornali, dalla televisione e dalle radio. Eppure la democrazia, che lo vogliamo o meno, è un regime politico che ha bisogno di meccanismi di controllo e gestione non così dissimili dagli altri regimi (monarchici, fascisti, comunisti, teocratici) che altre persone, altrove nel mondo, subiscono. Uno di questi è l’apparato repressivo, strumento fondamentale per ogni regime affinché possa  riprodursi e sostenersi.
Ormai cinquant’anni fa si sono avuti i cosiddetti “anni di piombo”, quel periodo storico, ridotto ad un unico metallo pesante ed inquinante (per aiutarci a rigettarlo più facilmente dalle nostre coscienze) che invece era composito e vibrante: c’erano anche le rocce magmatiche sotto forma di  chissà quanti sanpietrini volati sui caschi degli sbirri, l’acciaio dei bulloni o
delle biglie dei cuscinetti a sfera lanciati con le fionde verso vetrine e camionette, il legno di frassino con cui erano fatte le aste delle bandiere che riparavano e rispondevano alle cariche sbirresche, o ancora, la cellulosa trasformata in carta, che girava di mano in mano, ricoperta di inchiostro a formare testi, volantini, giornali: massa culturale che metteva in discussione il potere e che sul finire degli anni ‘60 e lungo tutti gli anni ‘70, avevano saputo generare un vero clima di paura, ma non nella gente (la famosa demos-), ma nelle istituzioni borghesi e tra le fila dei suoi reggenti. In tutto l’occidente, gruppi armati e non, l’insieme del “movimento”, seppero mettere alle strette i regimi democratici, espressione allora come oggi della borghesia liberale capitalista, e costringerla ai ripari, ovvero a ricorrere a quei meccanismi di autotutela propri di ogni regime. Misero a nudo il Re! La repressione si fece annientamento.
La risposta a  quest’ondata di lotte sociali e di messa in discussione delle democrazie occidentali, imperialiste e capitaliste, fu dura e sbottonata.
Governi liberali, fondati sui diritti e presunte garanzie costituzionali, si scomposero imponendo il pugno duro a tutte le persone che “osarono troppo”. Apripista in Europa, ispirandosi alle ricerche in materia di condizionamento mentale effettuate negli Stati Uniti all’interno delle sezioni denominate “Unit Control”, furono Gran Bretagna e Germania. La prima con la creazione nel 1971 degli infami “H-Blocks”, pensati per isolare, torturare ed annientare l’indipendentismo irlandese, la seconda, con l’imposizione dell’isolamento totale dalla società e tra di loro di tuttx lx prigionierx politicx nella Germania della NATO, quella ad ovest, con la creazione, nel ‘75 della sezione di massima sicurezza per lx militantx della RAF all’interno del carcere Stammheim di Stoccarda. Queste carceri speciali, e gli studi condotti negli States e nella Germania Federale sull’impatto psicologico dell’isolamento, finirono per essere d’ispirazione alla Turchia per la creazione, nei primi anni ‘80, delle celle “Tipo-F”, destinate ad accogliere quasi un migliaio di detenutx politicx comunistx e curdx e uccidendone oltre duecento. Fece seguito la Spagna, con i suoi moduli Fies, pensati per comunistx, anarchicx e indipendistx baschx e
catalanx, ma solo dopo che l’Italia aveva introdotto il suo “carcere duro”, il 41bis, nel ’86. In Italia, a tutt’oggi, il codice penale rimane basato su quello creato da quel “cavallo di razza”, come fu definito da Montanelli,
Alfredo Rocco, nazionalista antidemocratico e ministro fascista. Fino agli anni ‘70 pure il regolamento carcerario traeva ispirazione da quest’uomo, autore nel ‘31 del “Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena”, che prevedeva una carcerazione in cui era vietato alzare la voce, giocare a carte o cantare, possedere una matita, o protestare. Poi, negli anni ’70 arriva un uomo disperatamente confuso tra cattolicesimo e comunismo, che propone una riforma del carcere verso una sua modernizzazione, e dove allx detenutx sono aperti spiragli di uscita, di premialità e di “rieducazione”. La riforma Gozzini introdusse allo stesso, come contro altare, il famigerato articolo 90, ovvero una postilla che permetteva allo Stato di sospendere le proprie stesse regole garantiste di fronte alle rivolte dellx prigionierx, nei confronti dellx cosiddettx prigionierx politicx e coloro che rifiutavano la “rieducazione” carceraria. Negli anni questo articolo subisce modifiche, diventa 41bis e, sotto il secondo governo Berlusconi, da misura temporanea che sospende le garanzie e i diritti penitenziari a fronte di una emergenzialità”, diventa una misura stabilmente presente nell’ordinamento penitenziario.
Isolamento costante, videosorveglianza nella cella, impossibilità di partecipare al proprio processo, limiti nella comunicazione con l’avvocatx. Limiti nelle visite e nelle chiamate all’esterno, mediate da plexiglass e origliate dalle guardie. Divieto di avere oggetti personali in cella, quaderni, giornali, riviste o libri. Limiti nelle ore d’aria e divieto di socializzazione con le altre persone detenute. L’isolamento pressoché assoluto per ottenere
l’annientamento della persona detenuta.
La mafia. Quando si parla di 41bis, si va a finire lì. In generale quando si parla dei mali dell’Italia si va a finire lì. Le mafie sono per lo Stato il perfetto (loro malgrado o per “merito”) capro espiatorio su cui può esorcizzare i suoi stessi peccati. Già, perché se ci si togliesse le bende dagli occhi potremmo vedere come dietro all’argomentazione mafiosa c’è una costruzione emozionale, morale ed ideologica importante, tale da  permettere allo Stato di potersi paragonare, nella lotta alla criminalità organizzata, al pari di un San Giorgio, e farci rimuovere dalla coscienza (un po’ come fanno i protagonisti nel film Man in Black ) l’evidente collaborazione senza fine tra Stato e mafie, il continuo ricorso nella storia italiana delle classi dominanti e dello Stato a pratiche e a soggetti illegali mafiosi. “L’impresa mafiosa è infatti un’impresa capitalistica a tutti gli effetti, basata sul perseguimento degli stessi valori della borghesia (profitto, accumulazione, dominanza), ma con i mezzi tipici di una classe svantaggiata che basa sulla violenza il suo capitale originario” (per approfondire leggi qui). Oggi poi, che le mafie sono sempre meno distinguibili come entità distinte da altri gruppi di capitale e di potere, e che esistono perché vengono ricercate per i loro servizi molto vantaggiosi offerti ad aziende, partiti ed istituzioni, grazie al loro sottrarsi alle “regole del gioco”, al loro agire fuori dalla legalità. E pure lo Stato sa bene quanto a volte sia necessario sottrarsi alle regole del gioco, e infatti il 41bis è esattamente questo, la regola che permette allo Stato di sottrarsi alle sue stesse regole, usando (o scaricando) quegli amici di amici che in passato gli tornarono utili, ovvero le mafie, come spauracchio per giustificare tutto, anche l’ingiustificabile, basta che si ammanti del dolce nome di “legalità”.
Se negli altri regimi c’è almeno l’onestà intellettuale di essere chiari nel perseguire coloro che si pongono come nemici dei regimi stessi, la democrazia opera invece una mistificazione non da poco, costruendo l’equazione che essere nemici dello Stato significhi essere nemici della società intera o dell’umanità. Un continuo lavoro di manipolazione della realtà che sta dando i suoi frutti nel far sparire la violenza strutturale del sistema e fare apparire unicamente quella di chi vi si oppone, o di chi rimane fuori dal recinto escludente (classista e razzista) della legalità: La fabbricazione nel “Nemico Pubblico” da spiattellare in prima pagina e costruire consenso. Et voilà, essere “antisistema” oggi è come essere mafiosi. Si diventa lx cattivx. Alfredo Cospito (che fino a due anni fa era detenuto dalle merde che lavorano in Via Arginone nella sezione AS2) e ora in lotta nelle segrete dello Stato, lo sa bene, e noi con lui sappiamo bene che lo Stato ci farà fuori per riaffermare i suoi di valori, quelli della
borghesia imprenditoriale. E come noi, con l’approssimarsi degli effetti della crisi climatica, chiunque continuerà a mettere radicalmente in dubbio e provare a contrastare questo progresso ecocida, classista e colonialista dovrà mettere in conto di finire nella grande discarica carceraria. Non abbiamo nessun particolare appello da lanciare per “salvarlo”, se non continuare a fare nostra la sua lotta contro il 41bis e contro ogni carcere, questo specchio buio, riflesso del migliore dei mondi che ci dicono possibili.

CONTRO IL 41bis, CONTRO IL CARCERE! CONTRO LA MAFIA ED OGNI
ALTRA FORMA DI CAPITALISMO!
FORZA E CALORE AD ALFREDO!