Quasi 200 le antenne attive a Ferrara e 13 quelle nuove progettate che andranno ad infittire la sfilza di piloni elettromagnetici. Su tutte queste è previsto il montaggio di ripetitori 5G, che a differenza dei precedenti standard di trasmissione dati, necessitano di una maggiore vicinanza tra antenna e antenna, ovvero di una maggiore diffusione di antenne sul territorio.
Nel ferrarese i diversi tentativi di opposizione alle continue installazioni di questi apparecchi spesso si sono rivelati un bel buco nell’acqua. Pluf! C’è il caso di Sant’Agostino, dove un’antenna è spuntata vicino alle scuole e solo dopo una raccolta firme degli abitanti è stato ottenuto il suo spegnimento in attesa del solito “approfondimento” che, guarda caso, ha permesso la sua riattivazione. C’è ovviamente poi la situazione a Quartesana, dove è un continuo spuntare di nuove antenne, lasciando nell’impotenza parroco e abitanti.
Di queste situazioni sono pieni tutti i giornali locali, e ci mostrano bene il paradosso della democrazia in cui viviamo, dove tutto intorno a noi stanno avvenendo trasformazioni sostanziali della società e alle persone non è dato altro che accettarle, anche quando portano con sé nocività. Come le antenne, appunto.
Una di queste trasformazioni, voluta dal settore industriale e naturalmente assecondata dai governi, che ci sta calando sulla testa nell’incapacità totale per chiunque di comprenderne la vera portata e immaginare strategie effettive per contrastarla, è il processo in corso di digitalizzazione. Pressochè tuttx ci ritroviamo a possedere uno smartphone, lo abbiamo pure noi che scriviamo queste righe pur avendo ben in mente i pericoli che porta con sé. In pochi anni, dalla libertà di scelta se adottare o meno questa tecnologia, ci si è ritrovatx praticamente costrettx ad averla, a meno che non si accetti di essere esclusx da sempre più aspetti, e nostro malgrado per niente secondari, di questa società. Non tanto il pasto a domicilio o le notifiche in tempo reale della SPAL, ma piuttosto la possibilità di accedere o meno a un posto di lavoro o a servizi di base. Certo poi lo smartphone è comodo, e la digitalizzazione è ben di più di un cellulare in tasca o al polso! Ciò nonostante è esattamente la sua capillare diffusione che ha permesso alla digitalizzazione l’accelerazione degli ultimi 3-4 anni, almeno in Italia.
Sì, la digitalizzazione è ben di più e passa dai pagamenti elettronici invece che in contanti, dalla DAD al posto della scuola in presenza, dalla sostituzione del medico di famiglia con la telemedicina, dal lavoro dove si tengono sempre meno in mano degli attrezzi e sempre più si premono dei tasti e davanti a sé si hanno sempre più schermi al posto di altre persone. E dire che sono passati relativamente pochi anni dalla messa in commercio dei primi PC di IBM e dei primi Macintosh negli anni ’80, ma la trasformazione sociale che in pochi decenni è stata fomentata e compiuta è enorme, se pensiamo per contro che le automobili, prima di arrivare similmente a ridefinire la società con la loro capillare diffusione, hanno impegato quasi un secolo.
La recente pandemia ha sicuramente offerto la giusta sponda a questo processo di trasformazione, e la “società smart”, da desiderata dei tecnodeliranti sogni del settore industriale, si è fatta necessità impellente e non più derogabile per mandare avanti il micidiale funzionamento della perversa mega-macchina tecno-industriale, ovvero la società che subiamo e che ha consegnato questo pianeta e le società (umane e non) che lo abitano alla catastrofe climatica e all’avvelenamento degli ecosistemi. Perchè il punto che vorremmo sottolineare è questo: PNRR e “Green Deal”, questa disperata corsa verso la società smart ed elettrica, usano l’argomentazione ambientalista, quella del contrasto al cambiamento climatico, unicamente per rinnovare l’assetto industriale e produttivo dell’economia e poter continuare a riprodurre sempre e comunque la stessa logica di generazione di capitali e profitti per una sempre più esigua minoranza. Quella che ci viene venduta come “transizione ecologica” è dunque solo il tentativo di approdare a un nuovo livello di efficenza della produzione, quella che solo una macchina sa offrire, e che il computer in questo è ora l’Eccelsa Machina del capitalismo.
Questa transizione energetica ed ecologica ci viene fatta percepire come una corsa contro il tempo grazie all’attenzione mediatica e “social” che ha spinto il movimento ambientalista a consegnare le istanze ecologiste nelle mani di coloro che la devastazione ambientale l’hanno permessa e legittimata, politici e industriali, che si sono strofinati le mani alla possibilità di rivendercele spogliate di ogni significato e sotto forma di un’ennesima “soluzione-prodotto” magica da immettere sul mercato. Una corsa contro il tempo che è dunque ingannevole e pretestuosa, utile solo a farci sentire un’emergenzialità che ci immobilizza e ci fa delegare ogni scelta agli “esperti”. Dovremmo invece prendercelo il tempo, fermandoci e ragionando su come siamo arrivatx a questo punto e se questa “corsa contro il tempo” è nella direzione giusta.
Provando a chiederci se l’antenna che a breve spunterà nelle nostre vicinanze, al di là di una questione sanitaria, sarà parte o soluzione del problema.
Se servirà a rallentare la produzione di merci inutili, a rallentare i ritmi frenetici delle nostre giornate o li eserceberà.
Se il digitalizzare ogni aspetto delle nostre vite ci condurrà a un modo di vivere più semplice e diretto o ci ingarbuglierà in ulteriori dispositivi, in dipendenze energetiche, e di sempre più intermediari tra noi e le nostre esigenze da soddisfare.
Se questa “transizione” metterà in discussione l’insieme delle cause alla base della devastazione ambientale e sociale di questo pianeta o giusto giusto (se non forse) ridurrà unicamente le emissioni di CO2.
Perchè, e lo ripetiamo nel caso ce lo dimenticassimo, chi oggi ci sta vendendo questa transizione verde sono le stesse aziende e le stesse istituzioni che il cambiamento climatico lo hanno provocato, e a noi un po’ stupisce, e disarma, l’assenza di critica, di messa in dubbio, la facilità con cui si sta abboccando a questo processo raccontatoci come salvifico. Le antenne le dobbiamo contrastare non tanto per i campi elettromagnetici che generano, ma perchè sono le reti della gabbia in cui ci stiamo chiudendo.