Nelle ultime settimane ci sono saltati agli occhi diversi articoli, provenienti dai media locali, riportanti le notizie di alcuni “incidenti di percorso” nella macchina capitalista dello sfruttamento animale. Per provare ad incrinare la logica capitalista e specista che sottosta ai discorsi sulla questione, vogliamo proporre una lettura diversa, un’analisi che metta al centro lo sfruttamento degli animali, e come questo, spesso e volentieri, vada a braccetto con lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e la distruzione degli ecosistemi. Che piaccia o meno, il cambiamento radicale necessario per contrastare il cambiamento climatico passa anche dalla messa in discussione del nostro rapportarci, in quanto società e individui, con gli animali non umani.
Tra focolai di influenza aviaria che hanno portato all’abbattimento di 38.000 tacchini in un allevamento a Codigoro (Az. Agr. Ca’ Delta), il sequestro di ulteriori 50.000 a Lagosanto (in un allevamento di proprietà della Società Agricola Alimentare Srl., facente capo alla colossale merda Amadori) e il ribaltamento di un camion nelle strade della provincia trasportante centinaia di maiali destinati alla macellazione in un’azienda di Cesena, veniamo riportatx alla terribilità dell’ovvio. Nelle campagne della provincia di Ferrara lo sfruttamento animale e la nocività che rappresenta è vivo e vegeto, e questi episodi sono solo un piccolo specchio di una realtà ben più ampia, che non è altro che l’altra faccia della medaglia di un sistema di produzione alimentare industriale basato su oppressione e sfruttamento ma blasonato da etichette di eccellenza “made in Italy” che ci fanno l’occhiolino dai banchi del supermercato e servono unicamente a mistificare la realtà delle cose.
Nonostante infatti le belle parole spese da chi lucra sulla vita degli animali sull’eccellenza alimentare, sulla filiera virtuosa, sul benessere animale, nelle ultime settimane in diverse regioni d’Italia si sono registrati numerosi casi di epidemia aviaria all’interno di allevamenti intensivi avicoli.
Il primo caso di cui si hanno avute notizie dai media in Italia è proprio quello avvenuto a metà ottobre tra le mura dell’allevamento intensivo di tacchini di Codigoro, seguito poi da altri casi nelle province di Verona, Padova e nel Lazio in seguito. Non si tratta di casi sporadici ed isolati: il virus dell’aviaria, a dispetto appunto di tutta la stucchevole retorica aziendale della sostenibilità, è un appuntamento ricorrente negli allevameti italiani ed europei e anzi, negli ultimi 30 anni le malattie infettive che colpiscono gli animali reclusi negli allevamenti è in costante aumento. Un incremento corrispondente all’intensificarsi dei sistemi di sfruttamento animale e della terra, poichè oltre all’aumento del numero di allevamenti e soprattutto al loro affollamento, altre condizioni, quali deforestazione, urbanizzazione, caccia e tratta degli animali, contribuiscono al diffondersi di malattie che, su disposizione del OIE, ovvero l’organizzazione mondiale che tutela lo sfruttamento animale, si tradurranno in vere e proprie mattanze per salvaguardare l’intera filiera produttiva. Mattanze e contagi che vengono mediatizzate solo in pochissimi casi eclatanti, altrimenti debitamente taciute.
Solamente qualche mese fa ci appuntavamo nel “listone” SOTTO ASSEDIO la notizia della chiusura delle indagini e del rinvio a giudizio di sei persone coinvolte nel caso Eurovo, ovvero “il maxi allevamento intensivo di galline presente a Codigoro che, nel 2017, a seguito di un’epidemia aviaria, aveva affidato a più cooperative lo sterminio e smaltimento dei corpi degli 850.000 animali detenuti e sfruttati al suo interno”. Nell’appuntarcelo abbiamo passato una bella oretta ad interrogarci su come questa notizia fosse stata riportata dai giornali locali, dove la morte di una delle tante persone sfruttate, e non a caso una persona razzializzata – da cui scaturì l’intera idagine – era completamente lasciata sullo sfondo al pari dell’oltre mezzo milione di animali uccisi per salvaguardare la produzione alimentare. Centrale nel processo giudiziario, e nell’analisi giornalistica, era la truffa ai danni dello Stato, e nello specifico ai danni dell’Azienda Sanitaria di Ferrara, per “l’utilizzo di fondi pubblici e l’attuazione di subappalti non autorizzati” da parte di alcune delle cooperative incaricate della mattanza. Forse saremo persone ingenue ma ci ha colpitx la trasposizione mediatica di questa notizia, che ricalcava evidentemente la prospettiva istituzionale, di sbirri e sindacati, capaci solo di vederci unicamente una questione di ordine pubblico violato dal cosiddetto caporalato (che inquinerebbe un’economia emiliana romagnola altrimenti sana?) e sorvolando completamente la lapalissiana intersezione fra forme di sfruttamento ed oppressione proprie del sistema capitalista.
Ci farebbe quasi ridere se non che ci schifa l’ipocrita scalpore che seguono questi episodi di sfruttamento, immancabilmente ridotti ad un’accidentalità e mai affrontati per quello che realmente sono, la loro sistematicità, intesa proprio come qualcosa che il sistema stesso prevede e necessita, con i suoi appalti di servizi al ribasso per minimizzare i costi e massimizzare i profitti, per poter rispondere alle logiche di mercato che regolano l’industria agroalimentare così come ogni altro ambito del sistema capitalista. Ci stanno insegnando ad immaginare i moderni sistemi di allevamento occidentale come sicuri quando spesso e volentieri sono merda come altrove, e la retorica della sicurezza e dell’eccellenza alimentare che li ammanta è funzionale unicamente a distogliere lo sguardo dallo sfruttamento e dalla oppressione che vi avviene all’interno. E a fronte dell’ennesima crisi sanitaria che li colpisce, questa viene “risolta” (ovvero rimandata) attraverso dispositivi e pratiche per lo più costituite da nuovi sistemi tecnologici e di controllo zootecnico e biosicurezza che non mettono mai in discussione la nocività ma anzi la rafforzano dandoci la parvenza di una miglioria che ci porterà a credere che non capiterà più.
Il caso Eurovo, come tanti altri, ci vengono restituiti da un resoconto mediatico corollato dalla caccia al primo capro espiatorio disponibile che non è mai lo Stato, la multinazionale o il colosso agroalimentare che demanda o delega in primis lo sfruttamento. Le prese di posizione e i ben poco inaspettati provvedimenti istituzionali che ne conseguono, non fanno altro che mantenere nell’ombra l’oppressione degli animali, delle persone così come la devastazione dei territori, contribuendo a puntellare gli interessi di coloro che su questo sistema di sfruttamento, produzione e consumo ci lucrano.
Lo sfruttamento animale è una delle manifestazioni su cui il sistema di dominio si fonda e da cui trae forza. E’ talmente normalizzato da passare in sordina o da essere digerito e rigurgitato dal sistema capitalista attraverso campagne welfariste e di greenwashing finalizzate alla regolamentazione dello sfruttamento specista, non intaccando lo Stato con le sue istituzioni, il sistema legalitario, le nocività e le pratiche intrinsecamente oppressive alla base di tutto ciò.
Un altro buon esempio sul territorio ferrarese di questa presunta sostenibilità usata come fumo negli occhi è l’eco-distretto zootecnico d’avanguardia di 1.650 ettari sito a Jolanda di Savoia e attivo dal 2017, di proprietà di Bonifiche Ferraresi, dotato di 5.000 posti stalla dove all’anno vengono detenuti, sfruttati e fatti ruotare circa 8.000 bovini e dove si è puntato tutto sull’autosufficienza. Lo stesso Bilancio di Sostenibilità 2019 del gruppo Bonifiche Ferraresi spa decanta le proprie lodi in merito al proprio “sviluppo nel business agro-industriale in una logica di internalizzazione dell’intera filiera produttiva e distributiva, fondata sull’integrazione delle attività di agricoltura di precisione e allevamento.” Et-voilà! Sangue e merda trasformati in oro in men che non si dica.
Oppressione animale dunque lontana dagli occhi, normalizzata nella narrazione mediatica e mainstream, che viene accidentalmente alla luce nel momento in cui avvengono incidenti che coinvolgono chiaramente gli animali prigionieri della macchina, ma il cui interesse è prettamente umano ed antropocentrico in termini di salute pubblica o rischi per l’economia.
E non possiamo infine non buttar lì un parallelo con i tempi attuali di pandemia umana: tante energie e risorse spese nel cercare toppe di rimedio, così da fare ripartire il prima possibile l’economia, attuando dinamiche di controllo sociale che ci illudevamo fossero superate in tempi di democrazia. Non riusciamo più ad immaginare di mettere in discussione, di lasciare alle spalle e andare oltre l’assurdità del sistema industriale, gli stili di vita che ci vengono proposti/imposti, con tutto ciò che è richiesto per produrli (dagli allevamenti intensivi al petrolchimico fuori porta), tutto questo unico immenso sistema tecnologico e capitalista che ci sta avvelenando e annichilendo. Ci tocca accontentarci tutt’al più di singoli comportamenti dettati dalla sensibilità individuale, per cambiare un qualcosa che nemmeno riusciamo più a nominare o chiaramente definire. Finiamo per arrendendoci alla narrazione e alla desensibilizzazione che istituzioni e media ci buttano addosso, spiegandoci che tutto andrà bene se rimarremo calmi e seduti al nostro posto, mentre tutt’intorno persone e animali vengono ammazzati ed ecosistemi fatti sparire dal “migliore dei mondi possibili”.
In attesa della prossima, immaginiamoci come rompere questa apatia.